Une fois la réalité usée effondrée Il ne reste plus qu’un socle lourd Fermé Dernier vestige De l’optimisme conquérant (Ou réduit orgueilleux Secret creuset de l’insurrection ?).
Bruxelles 2/10/1997
Illustration : Arcangelo Petrantò, 2025 – Vestiges de fortifications Image générée par IA (intelligence artificielle)
Tra gli italiani che vivono in Belgio durante il periodo rivoluzionario e napoleonico, una delle figure più notevoli è senza dubbio il marchese Paolo Arconati Visconti, discendente da una famiglia aristocratica milanese.
Stabilito a Gaasbeek, nel Brabante, dove possiede un castello, egli accede a funzioni di primo piano nel 1797, quando viene eletto sindaco di Bruxelles, prima di essere rimosso dal Direttorio, dopo pochi mesi.
Dopo il colpo di Stato di Napoleone, egli accetta, il 26 aprile 1800, nonostante l’ampiezza del compito da svolgere, di essere nominato alla guida del comune di Bruxelles. Purtroppo, la gravità della situazione è così desolante (pesante deficit di bilancio, ristagno economico…), la coalizione degli oppositori alle sue iniziative di riforme così forte, che egli si dimette dopo solo tre mesi, una volta rifiutate le sue proposte che includevano persino l’impegno della propria fortuna personale.
Delegato del dipartimento della Dyle, assiste a Parigi, il 23 settembre dello stesso anno, alle feste della Repubblica.
Alcuni mesi più tardi è nominato membro del Consiglio generale del dipartimento della Dyle, funzione che ricoprirà fino al 1811, e torna a sedere, dal 1804, al consiglio comunale di Bruxelles, ma questa volta come semplice consigliere.
Personaggio accattivante, Paolo Arconati unisce all’attivismo politico, un comportamento originale se non addirittura fantasioso la cui memoria leggendaria si è tramandata fino ai nostri giorni.
Così un giorno egli propone di adibire a serbatoio d’acqua, a sue spese, una torre delle mura di cinta in disuso di Bruxelles. Un’altra volta, protesta per non aver ricevuto, al « Te Deum » il posto che gli spettava. Prevede la costruzione di una strada che collegherebbe Gaasbeek alla carreggiata di Mons, per raggiungere più facilmente Bruxelles e Parigi, e la costruzione, all’incrocio, di una gigantesca piramide in stile gotico che sarebbe attraversata dalle strade. Fa innalzare, in onore di Napoleone, che egli ammira, un arco di trionfo nel parco di Gaasbeek e fa ricostruire, a sue spese, la navata laterale di destra della chiesa di Vlezenbeek. Nel 1811, acquista la Casa del Re sulla Grand-Place di Bruxelles, la fa restaurare e fa ristabilire, sulla facciata, la statua della Vergine che una volta l’ornava. Al primo piano dell’edificio, ripristina la vecchia camera di retorica « Den Wyngaerd » che può così rinascere grazie alla sua protezione. Più tardi, sotto il regno di Guglielmo I, fa attaccare alla sua carrozza cinque cavalli ed una mula perché l’etichetta prevede che attaccare sei cavalli sia un appannaggio della famiglia reale.
Grande viaggiatore, Paolo Arconati percorre l’Europa intera, dall’Inghilterra alla Polonia e alla Russia, dalla Francia alla Svezia e fino in Lapponia. Ma è soprattutto il suo viaggio in Turchia, compiuto nel 1810, che gli lascia un ricordo incantevole. Al ritorno, decora il suo castello alla maniera orientale e si trasforma in principe ottomano, con turbante e pugnale damaschinato.
Un capitano inglese di passaggio a Gaasbeek nel 1815 lo descrive come « al di sotto della media, un po’ curvato dagli anni, magro, esile e indaffarato… lineamenti regolari… occhi vivi, brillanti, intelligenti… Il suo abito era interamente turco. (…) Non so quali fossero i suoi sentimenti religiosi, ma sotto qualsiasi altro aspetto era diventato un turco perfetto… »
Paolo Arconati muore a Bruxelles il 20 agosto 1821. L’eccentricità del marchese italiano si era accentuata ancor di più verso la fine della sua vita. Allo scopo di meditare sui momenti ultimi aveva addirittura preso l’abitudine di rimanere disteso in una bara aperta !
Rumes 08/2017
Illustration : Paolo Arconati-Visconti (1754 – 1821)
Brano tratto da « Histoire des Italiens en Belgique, de César à Paola », Arcangelo Petrantò, ACLI Belgio, 2000 (traduzione in italiano a cura dell’autore)
Publié in : Club di conversazione italiana di Tournai (Lo Specchio), Bollettino n. 227 / settembre 2017
Les deux dimensions du karma pourraient être assimilées l’une aux situations dans lesquelles on se retrouve plongé ou auxquelles on se trouve confronté, l’autre au tempérament de chacun qui impulse notre réaction.
L’idée serait, compte tenu de ces considérations, de sortir de cette combinaisons d’états par le haut !
Illustration : Lucio Fontana, vers 1960/1965 – « Concept spatial »
Né en Argentine de parents italiens en 1899, Fontana est mort à Varese (Italie) en 1968 Il donna vie, à partir de 1947, au mouvement artistique spatialiste
Ma mère, dont la langue maternelle était le sicilien, avait étudié l’italien à l’école, comme tous les enfants de sa génération. Bien sûr, c’était un bilinguisme inégal. L’italien étant comme surajouté artificiellement au sicilien.
Les hasards et les nécessités de la vie la conduisirent en France (mais ça aurait pu être les Etats-Unis d’Amérique ou le Venezuela !). Ce qui l’obligea à surajouter une autre langue à son mode d’expression : le français.
Dans ce type de situation multilingue, les interférences entre les langues sont quasiment inévitables.
C’est ainsi qu’un jour, en parlant justement de la connaissance des langues, elle affirma — et je trouve cette phrase tellement poétique, comme l’affleurement d’une réminiscence latine : « È bello conoscere plussiore lingue ».
Rumes 29/05/2023
Illustration : Carte de la Sicile composée à partir de mots siciliens
Gli avvenimenti che avvengono nel Congo, nel Ruanda e nel Burundi, ossia nelle ex-colonie belghe, continuano a sollecitare l’attenzione dei media e del pubblico belga. Il lungo rapporto coloniale, la presenza della lingua francese, gli interessi economici tuttora vivi, concorrono a rendere « privilegiate » le relazioni tra il Belgio e questa parte dell’Africa.
È in questo contesto interattivo che s’inserisce il libro pubblicato dal nostro amico Jean Luxen e dedicato al delicato periodo della decolonizzazione e più particolarmente al periodo della concessione dell’indipendenza al Congo.
« Dipenda » — è proprio il titolo del libro —, con l’opportuno sottotitolo « Congo belga — Ruanda — Urundi : avvenimenti del 1960 vissuti da un parà » intende presentare una testimonianza autentica di come sono andate le cose sul campo.
L’originalità dell’opera risiede precisamente in questa visione personale e vissuta che ci viene proposta di quello storico evento e del proprio impegno in quel contesto. Diciamo subito che il libro si legge come un romanzo e si guarda come un reportage alla tivù.
Si legge come un romanzo perché è scritto in una lingua scorrevole quanto piacevole. Esso ci coinvolge per l’alternarsi di scene, di situazioni e di azioni culminanti nel drammatico episodio che vede l’autore, insieme ad altri commilitoni, catturato dai soldati della minacciosa Forza Pubblica.
Si guarda poi come un reportage alla tivù perché il libro è colmo di documenti fotografici autentici che accompagnano quasi pagina per pagina (si potrebbe persino dire giorno per giorno) il filo del racconto (tranne naturalmente il momento quando l’autore si ritrova in pericolo di vita).
In qualche modo partecipiamo anche noi virtualmente alla missione dei parà in Africa. Seguiamo il percorso che va dall’indispensabile formazione in Belgio al viaggio verso le terre africane e dal contatto con l’ambiente congolese alle operazioni sul campo.
Il racconto è accattivante anche per un’altra ragione e cioè per le numerose osservazioni personali fatte dall’autore riguardanti luoghi, territori, ambiente naturale, gente incontrata e avvenimenti in corso in quel momento nel paese.
Infatti, il parà Jean Luxen è un osservatore attento, conscio di vivere una esperienza unica in quella terra d’Africa per cui egli desidera fare una provvisione di immagini, profumi, sensazioni.
Via via che il nostro amico viveva la sua esperienza africana, raccoglieva tutte le sue impressioni e tutti i suoi sentimenti per mezzo di lettere e di fotografie che inviava alla propria famiglia, in Belgio. Questo « tesoro » non è andato distrutto per via degli anni trascorsi anzi è stato preziosamente conservato ed è proprio in questo materiale che l’autore ha attinto per elaborare il suo libro.
Naturalmente, per noi del Club di conversazione italiana di Tournai, il fatto di conoscere personalmente Jean Luxen (proprio perché frequentatore del nostro gruppo) conferisce al libro una carica sentimentale in più. Il suo racconto oltre ad avere di certo un valore storico e documentario acquisisce una dimensione umana ed esemplare — non tutti i 70.000 soldati volontari belgi che sono andati (o erano disposti ad andare) nel Congo hanno scritto le loro memorie o un rapporto particolareggiato delle azioni compiute !
A coronamento infine di questo bell’impegno nei confronti di se stesso e degli altri, occorre segnalare che l’immagine di copertina è opera dello stesso autore. Non conoscevamo questa sua dote per l’arte figurativa e ce ne compiacciamo. Chissà se un giorno Jean Luxen non ci inviterà all’inaugurazione di una mostra personale ?
Non posso, a titolo personale, chiudere questo scritto senza far cenno a sentimenti più intimi scaturiti dalla lettura del libro dell’amico Giovanni. Seguendo le sequenze della sua missione in Africa mi veniva in mente parallelamente la lunga avventura africana di mio padre. Ugualmente da militare (ma anche come lavoratore), egli aveva pure viaggiato con la nave, aveva sentito quello straordinario impatto con la natura e la diversità umana, era rimasto carico di pregnanti ricordi comunicati più tardi alla propria famiglia.
Non è un caso se ancora adesso posso enunciare a memoria decine di nomi di luoghi in cui è vissuto in Africa orientale : Asmara, Massaua, Cheren, Agordat, Addis Abeba, Macallè, Dire Daua, Mogadiscio, Chisimaio…
Invitato d’onore, il nostro amico Jean Luxen, autore di « Dipenda » (gli avvenimenti del 1960 nel Congo belga, Ruanda e Urundi vissuti da lui stesso come parà), ci presenterà il suo libro nel corso della riunione del 2 maggio 2001. Oltre a dirci le motivazioni che l’hanno spinto a scrivere quest’opera, ci preciserà a viva voce alcuni episodi ricordati nel suo racconto (o forse altri ?).
Rumes 04/2001
Illustration : Couverture du livre « Dipenda » de Jean Luxen (Editions De Krijger, 2001) La couverture a été peinte par l’auteur
Publié in : Club di conversazione italiana di Tournai (Lo Specchio), Bollettino n. 81 / maggio 2001
Toutes ces versions alternatives de l’Histoire pourraient sembler vaines. Elles mettent le doigt cependant sur les aléas, les constantes, les briques constitutives des événements et récits historiques.
Surtout elles posent la question de la viabilité des embranchements uchroniques, et par conséquent explorent les cheminements du hasard et de la nécessité, voire de la finalité téléologique de l’Histoire, à savoir une Histoire perçue comme ayant une finalité précise et même, sur de larges plans, comme écrite d’avance.
Car on trouve dans le fil conducteur du réel des éléments lourds et des éléments aléatoires. En général, ces éléments lourds viennent au final conforter le fil événementiel de l’Histoire « réelle ».
En 1940, 1941 ou encore 1942 l’Allemagne aurait pu gagner la seconde guerre mondiale. Dans les années successives, les rapports de force deviennent disproportionnés en faveur des Alliés (puissance industrielle, davantage de ressources en hommes et en matières premières, espaces géographiques plus vastes et hors d’atteinte militaire).
Seule, la possession de la bombe atomique, associée possiblement à un missile balistique (V3, V4 ?) aurait pu, par sa fonction disruptive, permettre le triomphe « réaliste » alternatif de l’Allemagne.
Ainsi en est-il aussi d’une guerre de Sécession américaine imaginée uchroniquement. Les États du Sud (ou Confédérés) étaient structurellement en état d’infériorité face aux États du Nord (Unionistes).
Il suffit de souligner le contraste entre le Nord plus riche déjà industriel et le Sud globalement rural ou encore les disproportions démographiques entre les parties belligérantes.
Face à un groupe compact (y compris racialement) de 22 millions de Nordistes (population quasi totalement libre) se dressaient 5 millions de Sudistes qui devaient par ailleurs maintenir sous surveillance et maîtriser 4 millions d’esclaves noirs !
La victoire du Nord apparaît dès lors, dans la réalité comme quasiment inéluctable, indépendamment de la dimension morale relative à l’institution esclavagiste, souvent mise au premier plan dans ce conflit.
Le deus ex machina pouvant faire pencher la balance en faveur des Etats sudistes dans une réalité alternative aurait dû prendre la forme d’une intervention militaire européenne (France et Grande-Bretagne) venant acter la partition des Etats-Unis d’Amérique.
Certains éléments objectifs de rapports de force semblent donc incontournables dans la réalité. Cependant, des éléments aléatoires peuvent venir perturber et parfois bouleverser l’approche globale.
Dans l’Antiquité, qui aurait parié initialement sur le succès de l’expédition gréco-macédonienne lancée à l’assaut de l’Empire perse et le triomphe total d’Alexandre le Grand ?
Rumes 2/03/2025
Illustration : Les Etats-Unis d’Amérique pendant la Guerre de Sécession (1861-1865) : en couleur orange les 11 Etats confédérés sécessionnistes qui étaient opposés aux Etats du Nord restés dans l’Union
L’histoire alternative (ou uchronie) est un genre littéraire qui reconstruit le passé en prenant appui sur une évolution alternative de l’Histoire. A partir de cet embranchement alternatif, les faits deviennent fictifs, purement imaginaires, basés cependant sur une évaluation raisonnée et « réaliste » des interactions possibles entre événements et personnages.
On évalue ce qui aurait pu se produire et, au fil des modifications, on module les changements qui auraient affecté le cours des événements. D’une certaine manière, à travers l’uchronie on a affaire à la mise en œuvre, dans le tissu spatio-temporel de l’Histoire, d’une sorte d’effet papillon.
On joue alors avec les constituants du récit historique, en établissant d’une manière plus ou moins arbitraire mais néanmoins crédible des versions simulées de l’Histoire.
Les adeptes de ces reconstructions d’évènements fictifs ressemblent à des chimistes qui élaborent virtuellement de nouvelles formules. Pour mieux saisir la texture et les rouages de ce qu’on nomme le « réel ».
Une expérimentation, en somme. Qui permet d’explorer une réalité différente avec toutes ses conséquences en cascade.
Nombreux sont par conséquent les thèmes qui peuvent servir de matière à moudre à l’uchronie. Dans notre époque contemporaine, le sujet phare abordé par les adeptes des récits uchroniques est, assez logiquement, celui de la seconde guerre mondiale. Que serait-il advenu si l’Allemagne et ses alliés de l’Axe avaient gagné la guerre ?
N’importe quelle période de l’Histoire peut cependant faire l’objet d’une vision uchronique.
Si Jules César n’avait pas été assassiné aux Ides de mars, aurait-il entrepris la conquête de la Germanie à revers, d’est en ouest, comme il en avait eu, semble-t-il, le projet ?
La Germanie conquise par les Romains se serait occidentalisée un millénaire plus tôt et serait devenue sans aucun doute un élément moteur de l’Empire romain voire un catalyseur et promoteur de l’expansion de l’Empire vers l’Ukraine, les plaines russes voire le Caucase.
Dans un monde pareillement uchronique, que serait-il advenu si Rome et la Chine étaient parvenues à établir un contact direct avec des frontières communes ? Aurait-on assisté à une coopération et une mondialisation généralisées avant l’heure ? A un conflit planétaire dans le monde connu d’alors ? A une anticipation dans l’Antiquité de la Guerre froide ?
Rumes 2/03/2025
Illustration : Jour J, « Les Russes sur la Lune ! » (paru en 2010)
Jour J est une série de bandes dessinées qui explore des événements historiques suivant une perspective uchronique, en imaginant des réalités qui auraient pu exister